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Suino goloso: mangia di tutto, ma solo di qualità

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Si è abituati a pensare che il suino mangi di tutto. Guardando alla natura, questo pensiero non si discosta molto dalla realtà: il maiale è una specie onnivora che allo stato brado si nutre di radici, semi, frutti, foglie, tuberi e anche insetti. Ciò non significa che la sua alimentazione sia fatta di rifiuti o di scarti alimentari, soprattutto all’interno degli allevamenti, dove il mangime per i suini è composto da materie prime di qualità, anche nel caso in cui si tratti di sottoprodotti industriali.

 

“La base dell’alimentazione del suino è formata da alimenti zootecnici nobili: la farina di mais – spiega G. Matteo Crovetto, docente di Nutrizione e Alimentazione Animale all’Università degli Studi di Milano -. Quasi tutto questo mais, che costituisce più della metà della dieta dei suini, viene prodotto in Pianura Padana”.

Al mais si aggiunge la farina di estrazione di soia, vale a dire ciò che resta dei semi di soia dopo averne estratto l’olio. “Si tratta di un prodotto nobile, la migliore fonte di proteine vegetali al mondo – sottolinea Crovetto -. La percentuale di proteine nella soia è superiore al 40% sul tal quale”.

Altro alimento indispensabile è la crusca, aggiunta all’alimentazione in una quota pari in media al 10% perché “il mais ha poca fibra e quindi,se non viene integrato con un alimento ricco di fibra, può dare problemi dietetici come stipsi, ulcere gastriche e intestinali e fenomeni diarroici. Si utilizzano i tegumenti di grano e frumento che vengono scartati nella produzione della farina 00, ottime fonti della fibra dietetica di cui il suino ha bisogno”.

 

Una dieta per ogni età

Mais, farina di soia e crusca sono la base di un’alimentazione che, in realtà, varia a seconda dell’età e della fase di vita dell’animale.

Ad essi si devono aggiungere i derivati del latte per superare la fase critica che segue l’inizio dello svezzamento. “I suinetti appena svezzati non digeriscono bene l’amido – spiega l’esperto -.

Per questo circa la metà dei semi di cereali impiegati sono fioccati o estrusi, cioè sottoposti a un trattamento termico/meccanico che corrisponde di fatto a un inizio di cottura che permette all’amido di essere digerito. Poi, mano a mano che i maiali iniziano a produrre amilasi a livello del pancreas, si inizia ad aumentare la quota di amido crudo”.

Non solo, “per l’alimentazione dei suinetti si usa la farina di soia proteica, ottenuta decorticando i semi per togliere parte della fibra che non è ben digerita”. Infine, “nelle prime fasi di vita i mangimi vengono addizionati di grassi o oli (per raggiungere un tenore lipidico totale dell’8-10%) perché i suinetti – che hanno bisogno di una dieta molto ricca di energia – li sanno digerire bene. Col passare del tempo poi l’inclusione di tali sostanze grasse viene progressivamente ridotta, anche per ragioni economiche”.

 

Gli animali all’ingrasso, invece, ricevono un’alimentazione “in broda”, vale a dire farina diluita in liquido. Quest’ultimo può essere acqua tal quale o acqua miscelata con di siero di latte, il residuo cioè della caseificazione. “Si tratta di un sottoprodotto con un valore nutritivo interessante che contiene soprattutto lattosio – spiega Crovetto -. Utilizzandolo si riducono i problemi ambientali relativi al suo smaltimento e, allo stesso tempo, si risparmia sui costi dell’alimentazione”.

 

La nutrizione della scrofa si divide, invece, in due fasi. “Nei 3 mesi, 3 settimane e 3 giorni di gravidanza la scrofa mangia poco. Le bastano 2-2,5 kg al giorno di un mangime fibroso contenente il 30-40% di crusca, perché non ha un forte fabbisogno energetico. Ma durante il mese circa di allattamento, dovendo sfamare una nidiata di circa 10 suinetti, ha bisogno di 5-6 kg di mangime al giorno, più ricco di proteine, amido e grassi. In questa fase si utilizzano soprattutto mais, orzo, soia, crusca, grassi e aminoacidi, oltre ovviamente all’integrazione vitaminico-minerale, sempre fondamentale ”.

 

I vantaggi dei mangimi

Da parte loro, i mangimi semplificano non di poco la vita dell’allevatore. “Il mangimista può usare molti più alimenti e fare formule ottimizzate” sottolinea Crovetto. Un’esigenza dell’allevatore è, ad esempio, quella di ridurre le proteine totali che, se troppo elevate, porterebbero gli animali ad eliminare quantità eccessive di azoto dannoso per l’ambiente (nitrati nelle acque del suolo e ammoniaca nell’aria). Per raggiungere questo obiettivo è possibile integrare il mangime con alcuni aminoacidi essenziali, come lisina, metionina, treonina,triptofano.

“Il rovescio della medaglia – precisa l’esperto – è che circa il 70% del costo del chilo di carne è dovuto all’alimentazione del suino. Per questo gli allevatori cercano di spendere il meno possibile. Ciò si ripercuote negativamente sul comparto mangimistico perché gli allevatori preferiscono acquistare piccole quantità di nuclei o integratori piuttosto che i mangimi”.

Ciononostante, nel panorama europeo l’Italia è uno dei paesi all’avanguardia insieme a Olanda, Gran Bretagna, Francia, Germania e Danimarca. La produzione è però sempre più concentrata sulla fase giovanile del maiale, quella in cui per l’allevatore è difficile preparare autonomamente il mangime.

I problemi, però, restano. “Rispetto ad altri paesi paghiamo maggiori costi delle materie prime perché non abbiamo porti adeguati e tutto i trasporti interni sono su gomma – conclude Crovetto -. Una serie di costi che ci penalizzano”.

 

Foto: Pixabay

Silvia Soligon