Home Attualità Sconfiggere la fame nel mondo: “Adesso si può”

Sconfiggere la fame nel mondo: “Adesso si può”

366
0

1985. Una terribile carestia sconvolge l’Etiopia. Le immagini di migliaia di bambini africani denutriti e ricoperti dalle mosche mobilita le stelle del pop mondiale, tra cui Michael Jackson e Prince, che organizzano nello stesso anno i due più grandi eventi della storia della musica: Usa for Africa e LiveAid. 2011. Un’altra tremenda carestia colpisce ancora il Corno d’Africa. Stesse immagini di desolazione, ai confini tra Somalia ed Etiopia, ma che questa volta rischiano di restare un rumore di sottofondo della crisi mondiale. Sono trascorsi più di 25 anni tra le due emergenze umanitarie, ma poco è cambiato. Ancora oggi 1 persona su 6, nel mondo, ha fame. Nonostante le tecnologie disponibili per incrementare la produzione di cibo, oltre 1 miliardo di persone, dice la Fao, non ha abbastanza di cui nutrirsi e l’aumento del prezzo di mais, frumento, orzo e riso, generi di prima necessità alla base della dieta della stragrande maggioranza della popolazione mondiale, non fa che acuire l’emergenza.

 

Verso quota 9 miliardi – Il mondo è una tavola alla quale si siedono sempre più commensali, mentre il numero dei piatti rischia di crescere troppo lentamente. Sempre secondo la Fao, entro il 2050 la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi di persone: gli esperti dell’agenzia per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni Unite stimano che per soddisfare il fabbisogno energetico di tutti sarà necessario raddoppiare la produzione mondiale di cibo e il 70% del totale dovrebbe provenire dall’impiego di nuove tecnologie alimentari. Previsioni e aspettative che si scontrano con la drammatica attualità.

 

Ogni anno la mancanza di cibo uccide più gente nel mondo che non la guerra, l’Aids, la malaria e la tubercolosi messi insieme. Secondo il Programma Alimentare Mondiale (Pam), l’agenzia che si occupa dell’emergenza-fame in tutto il mondo, ogni ora 720 bambini nel mondo muoiono per mancanza di cibo, circa 12 ogni minuto. È stato calcolato che negli ultimi tre anni la mancanza di cibo ha ucciso più di 18 milioni di persone. A denunciarlo è anche il terzo Libro Bianco Elanco dal titolo “Making safe, affordable and abundant food a global reality”. “Da quando abbiamo realizzato la prima edizione, tre anni fa, è come se fossero precipitati 60 jumbo carichi di passeggeri ogni giorno”, spiega il presidente di Elanco Animal Health, Jeffrey Simmons. Oppure come se in un solo colpo, si legge sulle pagine del Wall Street Journal, scomparisse l’intera popolazione di metropoli come Singapore, Chengdu in Cina, San Pietroburgo e Caracas.

 

Chi pensa che la povertà sia un problema che interessa solo i Paesi africani o quelli in via di Sviluppo sarà obbligato a ricredersi. Nonostante la crescente epidemia di obesità sotto gli occhi di tutti, la fame bussa alle porte dell’Occidente: hanno poco o niente da mangiare 2 bambini su 5 tra quelli vivono nel centro di Londra, 1 bambino su 5 negli Usa, 1 su 8 in Francia, secondo i dati raccolti, tra gli altri, dalla Joseph Rowntree Foundation. Se nei Paesi in via di Sviluppo si tratta di un’emergenza sanitaria da affrontare subito, nelle “ricche” economie industrializzate la fame si presenta come il volto fallimentare delle democrazie moderne.

 

Sbarazzarsi dei pregiudizi – Contrariamente a quello che si pensa, non tenendo conto delle speculazioni finanziarie degli ultimi due anni, i prezzi agricoli alla produzione di mais, frumento, riso e latte si sono più che dimezzati in meno di 50 anni. Rispetto a quelli del 1960, adeguati all’inflazione, sono dal 40 all’85% più bassi. Il Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti calcola che il prezzo medio del latte venduto negli Usa è oggi di 14,40 dollari al quintale: con l’adeguamento all’inflazione, nel 1960 costava 22,89 dollari. Agricoltura e zootecnia hanno compiuto negli ultimi decenni salti in avanti di portata epocale. Basti pensare al consumo di carne e uova che ancora nel dopoguerra erano alla portata di pochi fortunati e riservato al pranzo della domenica o dei giorni di festa. Come è stato ricordato durante il Forum dedicato al “Codex ASSALZOO e alla sicurezza alimentare” tenutosi in Senato lo scorso maggio, grazie all’integrazione delle moderne tecnologie di produzione siamo oggi al punto che un chilogrammo di pollo vivo costa quanto un caffè al bar e ci vogliono ben 3 litri di latte o 16 uova per eguagliare il costo di una tazzina di caffè.

 

I vantaggi non sono solo per la bilancia energetica, ma anche per l’ambiente. “La produzione è diventata più sostenibile”, spiega Jude Cappar dell’Washington State University: si stima che rispetto al 1944, produrre oggi 4 litri di latte richiede il 65% in meno d’acqua e il 90% in meno di terreno, mentre l’emissione di gas serra è inferiore del 63% rispetto a 60 anni fa.

La strada maestra delle più avanzate tecniche di coltivazione e allevamento ha condotto fino al punto in cui, dati Fao alla mano, se nel 1961 un ettaro di terreno produceva grano utile a nutrire due persone, oggi lo stesso “pezzo di terra” ne alimenta 6. Intanto, i consumatori reclamano libertà di scelta: secondo lo studio internazionale Icas sull’atteggiamento dei consumatori, il 99% compra i base a criteri come gusto, valori nutritivi e costo, non ha pregiudizi contro le tecnologie e giudica positivamente i progressi scientifici e industriali che hanno condotto ad abbattere i problemi di sicurezza alimentare.

 

Un esempio virtuoso: il Brasile – È quello che è accaduto a 200 milioni di brasiliani: il modello di un miracolo economico moderno. Mentre in Europa diminuivano gli agricoltori e la bilancia commerciale cominciava a pesare fortemente sul piatto dell’import, soprattutto di generi alimentari, il Brasile si avviava ad una delle più grandi rivoluzioni economiche della storia recente, trasformandosi nel primo esportatore mondiale di generi alimentari. Tra il 1996 e il 2006, il valore della produzione dei raccolti è aumentata del 365%. Le esportazioni di bovini sono aumentate di dieci volte in un solo decennio e il Brasile è diventato il più grande esportatore di carne di manzo, di pollame e di canna da zucchero. “Sole, suolo, leadership imprenditoriale, tecnologia e politiche a favore dell’agricoltura” è lo slogano che ha consentito questa enorme e rapidissima crescita, resa possibile dall’apertura della Empresa Brasileira de Pesquisa Agropecuaria (la Società di ricerca agricola brasiliana) alle tecnologie per la selezione delle sementi e del bestiame con la maggiore resa produttiva.

 

Un modello che si può estendere, se si vuole garantire il diritto di ogni persona ad essere libera dalla fame e dalla povertà, sancito da numerose “Carte2 internazionali e primo punto tra gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, documento sottoscritto da tutti i 191 Stati membri dell’Onu che punta a dimezzare entro il 2015 la popolazione affamata. Secondo un rapporto della Harvard Kennedy School, “The New Harvest, Agricultural Innovation in Africa”, finanziato dalla Fondazione di Bill e Melinda Gates, l’Africa potrebbe essere libera dalla fame nel giro di pochi decenni con un piano che combini “l’uso della scienza moderna e della tecnologia, l’espansione delle infrastrutture, il miglioramento dell’istruzione tecnica e uno stimolo forte allo sviluppo del mercato”.

“L’agricoltura africana è a un bivio”, sostiene Calestous Juma, professore del Belfer Center for Science and International Affairs, secondo cui soltanto con la produzione del Sudan del Sud, adeguatamente sviluppata, “si potrebbe sfamare tutti gli africani”.

 

“L’agricoltura mondiale negli ultimi 40 anni – si legge nel rapporto – è stata caratterizzata da una crescita pro capite della produzione alimentare del 17% e della produzione totale del 145%”, eppure un quarto della popolazione è ancora malnutrita. La Fao ha lanciato un appello ai governi con progetto 1billionhungry per chiedere che alle immagini che arrivano dal Corno d’Africa, dall’India, dal Sud America, le stesse immagini di 25 anni fa, si dia subito una risposta.

 

Luglio – Agosto 2011.

 

Foto: Pixabay

Cosimo Colasanto