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Grassi per colpa di un batterio?

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Può sembrare strano, ma si sa ancora poco su cause e cure per l’obesità. Si ritiene che mangiare meno e fare più esercizio fisico sia il modo migliore per perdere peso. Ma come strategia globale per combattere l’obesità questa ricetta non funziona, e il numero di obesi cresce sempre più, e sempre più velocemente. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’obesità dal 1980 a oggi è più che raddoppiata. Oggi nel mondo si contano seicento milioni di obesi e il 30% della popolazione globale – 2,2 miliardi di persone – ha problemi di peso in eccesso. In Italia più del 40% degli adulti ha un peso eccessivo e il nostro Paese resta ai primi posti in Europa per l’eccesso di peso nei bambini.

Si sta cercando di capire come i fattori ambientali o quelli genetici possano contribuire al problema dell’obesità, ma ci sono molti ricercatori in tutto il mondo che si stanno focalizzando sul ruolo dei microbi che risiedono nel nostro intestino. Dobbiamo pensare a noi stessi infatti come a un’enorme fattoria, non solo un insieme di cellule ognuna con il suo DNA e i suoi geni da esprimere, ma piuttosto un enorme recinto che ospita 100 mila miliardi di individui, 10 volte il numero delle nostre cellule. Piccole creature, per lo più batteri, ma anche virus e funghi. Colonizzano la bocca, la pelle, ogni orifizio o superficie. Ma nell’intestino si aggregano in strutture complesse, dove si nutrono, lavorano e combattono per la nostra e la loro esistenza. Come riescano a “farci diventare gassi” non è ancora noto, ma è chiaro che il microbiota intestinale, può aumentare la produzione di energia derivata dagli alimenti, contribuire a una infiammazione di basso livello e regolare la composizione in acidi grassi dei tessuti. Gli studi, sia su modelli animali che sull’uomo, sembrano dimostrare che esiste un meccanismo che ci porta a essere grassi che coinvolge sia il microbiota intestinale che l’infiammazione e in accordo con questa teoria, per dare avvio all’obesità, è necessario che ci sia una maggiore permeabilità della barriera intestinale, lo strato di cellule nell’intestino che normalmente controllano quali sostanze possono avere accesso al nostro organismo. La permeabilità sembra aumentare quando si riducono nell’intestino le molecole “guardiane” che hanno il compito di tenere ben serrate le cellule che formano la barriera. Quando la barriera si infrange, grandi molecole formate da grassi, i lipopolissacaridi, che si trovano sulla superfice della membrana di alcuni batteri intestinali, entrano e cominciano a circolare diffusamente nell’organismo. A questo punto il nostro sistema immunitario entra in azione, rilascia delle proteine messaggere che innescano delle reazioni a catena che portano all’infiammazione. L’infiammazione di basso grado cronica porta a effetti metabolici, che includono il metabolismo anomalo del glucosio e un maggiore assorbimento dei grassi, e l’obesità come risultato finale. L’infiammazione di basso grado cronica porta anche a un cambiamento del numero di alcune specie di batteri che si trovano in prossimità della barriera intestinale e qui c’è il nodo della questione: sono i batteri a innescare l’infiammazione o l’infiammazione a selezionare i batteri la tengono attiva? Una dieta, per esempio ricca di grassi, può essere una causa scatenate di tutte questi eventi nell’organismo o dobbiamo guardare all’obesità con gli stessi occhi con cui si osservano le allergie, le malattie autoimmuni come per esempio il diabete, l’artrite o la malattia di Crohn? I ricercatori stanno ancora cercando di risolvere questo dilemma anche se hanno capito che modificando il microbiota intestinale di un paziente che soffre di una malattia autoimmune potrebbe essere possibile migliorare l’esito di tale malattia e che modificando la dieta, potrebbe essere possibile, attraverso il microbiota intestinale, promuovere una risposta antiinfiammatoria di un paziente affetto da autoimmunità.

In pratica sui nostri batteri intestinali sappiamo meno rispetto a quello che molti libri e riviste sull’argomento sembrano suggerire. Gran parte della ricerca sull’argomento si basa su studi sugli animali che non possono essere applicati direttamente agli esseri umani.
Tuttavia, un numero crescente di studi di ricerca indica che il nostro microbiota intestinale svolge un ruolo importante nella nostra salute. Colpisce il nostro metabolismo e può essere collegato all’obesità, alle malattie cardiovascolari e al diabete di tipo 2. Precedenti studi hanno dimostrato che le persone affette da queste malattie hanno diversi eventi metabolici, cioè piccole molecole o residui metabolici, nel flusso sanguigno. Lo scopo di un nuovo interessantissimo studio è stato quello di identificare i metaboliti nel sangue che possono essere collegati all’obesità e di indagare se questi metaboliti legati all’obesità influenzino la composizione della flora batterica. I ricercatori hanno analizzato campioni di plasma sanguigno e campioni di feci da 674 partecipanti al Malmö Offspring Study, MOS. Hanno trovato 19 metaboliti diversi che potrebbero essere collegati all’obesità, ma il glutammato e gli amminoacidi ramificati e aromatici (BCAA) avevano il legame più forte con l’obesità e che erano collegati a quattro diversi batteri intestinali (Blautia, Dorea e Ruminococcus nella famiglia delle Lachnospiraceae e SHA98). In pratica, quindi, i metaboliti e i batteri intestinali interagiscono e il più forte fattore di rischio per l’obesità nello studio, il glutammato, è stato associato all’obesità in studi precedenti mentre gli aminoacidi ramificati aromatici sono stati utilizzati per prevedere l’insorgenza del diabete di tipo 2 e delle malattie cardiovascolari.

Ciò significa che gli studi futuri dovrebbero concentrarsi maggiormente su come la composizione dei batteri intestinali può essere modificata per ridurre il rischio di obesità, di malattie metaboliche associate e di malattie cardiovascolari.

Foto: © beawolf – Fotolia.com

Elisabetta Bernardi