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Giuseppe Ferrari: “Un marchio per garantire la qualità dei nostri suini”

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carne peste suina

Giuseppe Ferrari, presidente del neonato Consorzio di Garanzia del Suino Italiano, illustra la strategia per valorizzare il Made in Italy

Presidente Ferrari, perché nasce il Consorzio di Garanzia?
Il progetto nasce per aggregare gli allevatori italiani all’interno di un Consorzio di Garanzia del Suino Italiano. Fino ad oggi abbiamo assistito a vari tentativi per valorizzare tutti i tagli del suino (come ad esempio il G.S.P. Gran Suino Padano, oppure Sistema di qualità nazionale, S.Q.N ) tentativi falliti per vari motivi ma principalmente perché gli interessi all’interno della filiera erano, e sono, contrapposti e di difficile mediazione. Il tentativo è quello di valorizzare di più gli altri tagli perché il valore aggiunto delle cosce D.O.P. Parma e S. Daniele non è più in grado da solo a garantire una sufficiente remunerazione per gli allevatori. La carne del suino italiano viene messa in concorrenza con la carne estera che costa il 20% in meno per produrla perché il suino estero viene macellato a 110-115 kg e non ha vincoli alimentari, di genetica e di età rigidi come quelli che noi allevatori italiani dobbiamo seguire per rispettare i disciplinari di produzione delle D.O.P.
Inoltre subiamo una concorrenza spietata sulle cosce; basti pensare che importiamo circa 60 milioni di cosce all’anno mentre noi ne produciamo circa 20 milioni. Ciò vuol dire che su 4 cosce in commercio in Italia 3 sono estere. Il consumatore questo non lo sa ed è convinto di acquistare come “italiano” un prodotto che in realtà subisce solo l’ultima lavorazione in Italia. La legge permette questo per cui tutto viene fatto legittimamente ma questo è il risultato: negli ultimi 10 anni il parco scrofe in Italia è diminuito del 25% e dell’8% quello dei suini per il macello. È evidente che continuano ad aumentare anche le importazioni di suinetti dall’estero che sono arrivate a circa un milione di capi anno.
Questo Consorzio si doterà di un disciplinare (attualmente allo studio da parte di una commissione), avrà un ente esterno di controllo che garantirà l’osservanza del processo produttivo e avrà un marchio identificativo che potrà essere aggiunto ai marchi in commercio. Questo marchio diventerà una ulteriore garanzia verso il consumatore sia in Italia sia all’estero e assicurerà un prodotto 100% made in Italy. Naturalmente noi allevatori potremo garantire il processo produttivo del suino vivo. Per raggiungere il consumatore stiamo facendo degli accordi con i macelli e i trasformatori interessati. È prevista una strategia di marketing a livello nazionale sulla falsariga ad es. di Melinda per informare i consumatori. Il progetto ha una valenza a medio/lungo termine e vuole stimolare la domanda di prodotto italiano al 100% sia sul mercato interno sia sul mercato estero.
Io credo che tutti, e dico tutti gli allevatori italiani, abbiano interesse a valorizzare e tutelare il loro prodotto, cosa che oggi non avviene. Non è pensabile che siano gli altri a fare il nostro interesse, dobbiamo farlo noi stessi investendo una piccola parte del nostro fatturato.

Chi ne fa parte? E chi può entrare? Come si relaziona questa nuova entità con il resto delle rappresentanze di filiera?
Il consorzio è nato il 9 febbraio 2017 a Mantova e aggrega 40 partite Iva con 127 allevamenti, circa 20.000 scrofe e circa 300.000 posti ingrasso con una capacità produttiva di 600.000 capi/anno. La nostra ambizione è di riuscire ad aggregare almeno il 51% dei suini allevati in Italia anche se non vi nascondo che l’ideale sarebbe il 100%. Questo Consorzio potrà colmare il vuoto esistente nella filiera attuale dove l’allevatore non è di fatto rappresentato. Nei Consorzi di Parma e S. Daniele non siamo neanche soci (i Soci sono i prosciuttifici che, peraltro, hanno più cosce estere che nazionali nei loro stabilimenti, regola questa che secondo me andrebbe abolita). Noi allevatori abbiamo una rappresentanza dell’11% e non riusciamo a incidere in nessuna decisione. Per fare un esempio, quando i Consorzi di Parma e S. Daniele nacquero (1963), lo statuto prevedeva che le cosce da stagionare fossero al 100% italiane. Nel tempo lo statuto fu modificato dal 100% al 75% poi al 50% e ora è libero!
Comunque, siccome dobbiamo dare atto che il massimo della valorizzazione delle cosce è fatto attraverso le D.O.P., abbiamo deciso di lasciare l’esclusiva per la valorizzazione delle cosce, nelle 10 regioni accreditate, ai Consorzi di Parma e S. Daniele per non creare inutili e controproducenti conflitti.

Suino italiano: questo è il cuore della proposta del consorzio. A che cosa si punta? Ad animali che nascano, vengano nutriti e macellati in Italia?
Noi importiamo il 40% del nostro fabbisogno che per l’80% è formato dall’importazione di cosce. Per invertire questa rotta l’unica soluzione è quella di rendere redditizia la produzione di suini italiani e questo si ottiene solo se si esaltano e si valorizzano le caratteristiche del prodotto italiano. Per fare questo vanno investite delle risorse su un progetto di valorizzazione di un marchio che garantisca la qualità e la salubrità nei confronti del consumatore. È per questo che più allevatori si iscrivono e più avremo la forza per raggiungere gli obiettivi.

Capacità di produzione e importazioni. Come si inverte la rotta della suinicoltura italiana, rendendola autosufficiente rispetto alla necessità di importazioni dei capi?
Vi faccio un esempio. Il nostro suino ha almeno 9 mesi di vita mentre quello estero a malapena raggiunge i 6 mesi. Perché non si può esaltare questo aspetto, per esempio, per garantire il consumatore e dire che noi siamo in grado di garantire il rispetto dei tempi di sospensione degli antibiotici molto più alti rispetto al suino estero?

Il tema della sicurezza animale e alimentare. Una filiera interamente italiana, dai mangimi alla trasformazione, che garanzie aggiuntive determina?
Abbiamo presentato il nostro progetto a tutti i soggetti della filiera: macellatori, trasformatori e mangimisti. Tutti erano concordi nel dire che il Made in Italy 100% ha una potenzialità inespressa attualmente sia per il mercato interno sia per i mercati esteri. Perché non mettere insieme le forze e fare veramente un progetto di filiera che potrà essere utile a tutti e potrà portare lavoro e fatturato in Italia? L’ambizione è quella di aumentare la produzione ma, per fare questo, bisogna prima vendere più prodotto, altrimenti si rischia di fare quello che è già successo di recente e cioè di produrre più di quanto il mercato richiede con il risultato che i prezzi crollano.

Il primo risultato cui mira il Consorzio da ora al primo anniversario delle costituzione.
La definizione del disciplinare di produzione e del marchio, che non è un marchio D.O.P. perché, se lo fosse, dovrebbe passare dalla Commissione europea con il rischio di essere bocciato cosi come lo fu ad esempio il G.S.P., Gran Suino Padano; accordi con i macelli e trasformatori interessati e presentazione ai soci del Consorzio di Garanzia del Suino Italiano di un progetto di marketing che preveda una campagna pubblicitaria a livello nazionale. Nel frattempo l’impegno più grosso è quello di aumentare la base sociale attraverso l’iscrizione di più allevatori possibili.

Foto: Foto: © ilfede – Fotolia

Vito Miraglia