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Giovanni Zucchi (presidente Assitol): “Cisgenetica e biotecnologie un argine contro il deficit proteico”

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Presidente, la soia riveste un ruolo essenziale nella filiera alimentare, animale e umana. Il punto della situazione della realtà italiana (importazioni, qualità di prodotto)?
La soia vive un periodo particolarmente felice in Italia: già da due anni, la produzione nazionale ha superato il milione di tonnellate, anche grazie alla PAC, che ha inserito questa coltura tra quelle ricomprese nel cosiddetto “greening”. Inoltre, a differenza degli altri semi oleosi, le coltivazioni di soia hanno registrato un lieve aumento, passando da 310mila ettari a 330mila. Anche le stime per il 2016 sono ottimistiche, con una previsione di superficie di semina in ulteriore aumento tra il 5 ed il 10%.
La qualità del nostro prodotto è buona, ma i quantitativi prodotti sono ancora insufficienti rispetto alle richieste del nostro settore mangimistico. Se consideriamo infatti il consumo di farina di soia, ricaviamo che il fabbisogno di seme di soia equivalente supera i 4 milioni di tonnellate annue. Le importazioni sia di seme che di farina rappresentano quindi una necessità.

Soia e Ogm. O meglio, soia ogm. Nel mondo ormai è lo standard produttivo e qualitativo: come si colloca l’Italia in questo contesto?
Le nostre istituzioni, italiane ed europee, hanno scelto di dire “no” alla coltivazione degli Ogm, mentre è consentita l’importazione ed il consumo sia di semi ogm che di prodotti derivanti da ogm, lasciando libertà di ricerca in laboratorio. Resta però lo storico problema, italiano ed europeo, del deficit proteico, vale a dire la scarsità di farine proteiche per la produzione di mangimi, da destinare all’alimentazione di bovini, suini e avicoli. In tal senso, il settore è fortemente impegnato ad aumentare i volumi per soddisfare la domanda dell’industria mangimistica italiana e sostenere la filiera zootecnica, costretta ad importare materia prima.
E’ dunque logico, per ASSITOL, guardare con favore alle biotecnologie, in particolare a quelle procedure innovative che, senza necessariamente ricorrere agli organismi geneticamente modificati, possono però fornire risposte scientifiche alla carenza di materia prima. Prospettive molto interessanti ci arrivano dalla cisgenetica, che consiste nell’inserimento di geni da piante della stessa specie o genere e non comporta quindi il ricorso agli OGM. Ma, lo ribadiamo, la ricerca è fondamentale e, purtroppo, negli ultimi anni in Italia, anche la ricerca sui semi oleosi, allo scopo di migliorarne la produttività, procede a rilento. Il rovescio della medaglia, infatti, è che, a causa del nostro storico deficit proteico, continuiamo ad importare semi provenienti da Paesi extra-UE, il che significa OGM. Anche per questa ragione, ci auguriamo di assistere ad un rilancio delle biotecnologie nel settore.

Oltre alla soia, un ruolo di primo piano lo rivestono i semi di girasole. Similarità e differenze rispetto alla soia in relazione alle caratteristiche nutrizionali e ai numeri di importazione?
Entrambi i semi vantano un alto contenuto proteico e grasso, ma se guardiamo in dettaglio ai valori nutrizionali, il girasole ha un contenuto di olio doppio rispetto alla soia; viceversa, il contenuto proteico del seme di soia è più che doppio rispetto allo stesso contenuto nel seme di girasole. Proprio le diverse peculiarità dei due semi oleosi rendono i due semi particolarmente adatti a diventare ingredienti fondamentali ed insostituibili in quasi tutte le formulazioni mangimistiche.
Accanto all’impiego zootecnico, poi, c’è la vocazione alimentare del girasole che, con oltre 200 milioni di litri di prodotto confezionato (sia tal quale come girasole che in miscela nell’olio di semi vari e in svariate formulazioni di oli per frittura), nel 2015 rappresenta l’olio di semi più consumato in Italia.
Purtroppo, i semi “Made in Italy” non bastano: secondo i dati elaborati da ASSITOL, nel 2014 abbiamo importato dall’estero oltre 173mila tonnellate di semi di girasole, nel 2015 una quota inferiore, pari a 156.121 tonnellate. Le importazioni di olio di girasole grezzo dai principali produttori mondiali ( Ucraina e Russia) hanno superato annualmente le 350.000 tonnellate e mostrano un costante incremento, a conferma della versatilità d’uso e dell’ottimo rapporto qualità/prezzo dell’olio di girasole anche nell’industria alimentare e conserviera.
I semi di soia, come sanno bene gli agricoltori, hanno un notevole contenuto proteico ed una quota importante di aminoacidi come la lisina. Per tali caratteristiche la farina di soia è considerata dagli addetti ai lavori il legume per eccellenza nell’alimentazione animale. Oltre all’impiego mangimistico, che è quello preponderante, i semi di soia sono oggi protagonisti di una riscoperta nell’ambito dell’alimentazione salutistica.
Per quanto riguarda le importazioni, le nostre produzioni riescono a coprire soltanto il 50% del fabbisogno di soia e girasole dell’industria di spremitura. ASSITOL auspica un ampliamento delle coltivazioni, che consentirebbe di garantire un approvvigionamento domestico all’industria. E poi, si svilupperebbero ulteriormente le potenzialità di una parte importante della nostra agricoltura, di cui si parla, a nostro avviso, troppo poco.

Di soia e girasole ci sono poi filiere di produzione italiana: che livelli di fabbisogno raggiungono rispetto alla necessità complessiva?
Come si è visto, siamo molto lontani dall’autosufficienza e la parola d’ordine, per il futuro è “innovazione”. Nelle pratiche colturali, nella scelta dei semi, nella ricerca. Soltanto così si potrà aumentare la produzione, allo stato ancora deficitaria. ASSITOL, già da tempo, promuove un dialogo su questi temi con il resto della filiera e, pur con qualche difficoltà, qualcosa comincia a muoversi.
Come abbiamo visto la soia è in crescita, grazie alla sua redditività e alle potenzialità di rotazione agricola. Il girasole ha invece registrato un calo delle superfici coltivate, passando da 100mila a 85mila ettari, mentre la produzione si è attestata intorno alle 200mila tonnellate. Per questi motivi, l’industria olearia ha sviluppato un know how importante nel reperire, selezionare e trasformare materia prima di ottimo livello per i nostri prodotti.

I semi di produzione italiana hanno caratteristiche particolari? Servono linee di produzione specifiche? In che cosa si differenziano da quelli importati.
La differenza più eclatante è che la produzione italiana è obbligatoriamente non-Ogm. Tuttavia va ricordato che i semi nostrani sono stati protagonisti di un grande impegno a favore del loro miglioramento genetico, che ha prodotto modifiche significative. I “nuovi semi,” in altre parole, sono migliorati sia dal punto di vista produttivo sia per la resistenza alle malattie, in modo particolare il seme di girasole resistente alla peronospora. Ciò vale anche per la soia, al centro, negli anni ’90, di studi di grande rilievo, che hanno portato all’incremento delle rese. Possiamo dire con certezza che, se oggi la soia vive una stagione felice, è anche in virtù del grande lavoro di miglioramento genetico che l’ha interessata.
Inoltre tutti i progetti di tracciabilità di prodotto italiano e sostenibile necessitano di uno stoccaggio e di una lavorazione separati.
Per il girasole italiano, il mutamento è ancora in atto. Anche in Italia, le varianti ad alto contenuto di acido oleico appaiono promettenti, per la salubrità e la stabilità degli oli prodotti.

Ci sono azioni che, dal suo punto di vista, la filiera agroalimentare italiana dovrebbe realizzare? A livello politico-istituzionale, a livello associativo e a livello industriale?
Certamente. Al MIPAAF chiediamo l’apertura di un tavolo di confronto, in modo da poter illustrare alle Istituzioni i nostri problemi e valutare le possibili soluzioni.
La legislazione sugli oli di semi è ormai datata e, per certi aspetti, non risponde più alle esigenze delle imprese. In particolare, le regole del diritto comunitario, che consentono la commercializzazione in Italia di prodotti legali negli altri Paesi membri, determinano situazioni di concorrenza sleale tra imprese associate ed importatori.
Come associazione, torniamo a sottolineare la necessità di una sinergia sempre più stretta tra i diversi attori della filiera, che vorremmo più coesa e capace di esprimere soluzioni in maniera unitaria. La competitività si conquista partendo dal campo e rafforzando la redditività dell’agricoltura, che deve però impegnarsi a fornire un prodotto ritagliato sulle esigenze di chi poi lo trasformerà. Ma, lo ripetiamo, la filiera, se collaborano le sue diverse componenti, è lo strumento vincente per dare slancio al settore.
In ambito industriale, l’interrogativo-guida è sempre lo stesso: “Cosa vuole il consumatore?”. Ecco perché i grandi temi del futuro sono tracciabilità, sicurezza alimentare e sostenibilità. In questo senso, la PAC ci sta dando una mano grazie all’introduzione del grening. Ma tocca a tutto il comparto ripensare in termini innovativi ed integrati il processo di trasformazione dei semi oleosi: soltanto così sarà possibile certificare tutta la vita del seme e le sue caratteristiche, ridurre l’impatto ambientale delle produzioni, garantire al consumatore un prodotto sicuro.
Di questi temi, intendiamo parlare in maniera approfondita anche all’Assemblea di Fediol, la Federazione europea degli oli vegetali, che quest’anno si terrà a Roma il 26 ed il 27 maggio. Per la nostra Associazione, è un appuntamento da non perdere: sarà l’occasione per raccontare le opportunità del comparto, in Italia e in ambito internazionale.

Vito Miraglia