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«La ricerca scientifica è una risorsa, ma non deve intaccare la tipicità dei singoli prodotti»

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Interevista a Giovanni Dima, Responsabile Consulta nazionale agricoltura PdL.


Spesso si ha l’impressione che, nel contesto produttivo, l’agricoltura sia considerata una sorella minore. Si tratta, secondo lei, di un pregiudizio che può essere sradicato?

L’Istat, attraverso i dati dell’ultimo censimento in agricoltura, ci consegna l’immagine di un settore che risente, sia pure in maniera diversa rispetto agli altri segmenti produttivi nazionali, non solo degli effetti della crisi che, ormai da qualche anno, sta attraversando il Paese e tutti i suoi più importanti comparti economici, ma anche di alcune trasformazioni strutturali che stanno chiaramente modificando il modo di fare agricoltura in Italia. Dal 2000 al 2010, per esempio, sono scomparse 800 mila imprese agricole, – 32%. In termini reali si è passati da 2,4 milioni a 1,6 milioni di aziende, mentre è aumentata la dimensione media, +44%, che è passata da 5,5 a 7,9 ettari di superficie agricola utilizzata (SAU). Inoltre, sempre in questi dieci anni, si è assistito ad un aumento visibile del numero di aziende con più di 20 ettari di superficie utile che pur rappresentando, oggi, il 10% del totale delle aziende attive in Italia, gestiscono quasi i due terzi della SAU nazionale. Mentre quelle con meno di 20 ettari, pur rappresentando il 90% del totale delle imprese agricole italiane, conducono solo il 37% della superficie agricola utilizzata. Questi dati sono il frutto di alcune dinamiche che devono essere chiaramente analizzate se si vuole intervenire concretamente in un comparto che ha tutte le potenzialità per diventare trainante o comunque strategico per la nostra economia perché in grado di coniugare la tutela del territorio alla produzione di qualità legata al made in Italy che rappresenta nonostante tutto, ancora oggi, un valore aggiunto forte e visibile. Per cui pensiamo che questo pregiudizio, di trovarci cioè di fronte a un settore marginale o comunque poco incisivo nel contesto economico nazionale, possa essere messo da parte se promuoviamo non solo azioni che garantiscano una maggiore competitività sui mercati delle aziende produttrici, ma anche iniziative di sostegno alle tante piccole imprese esistenti che rappresentano un fondamentale presidio di tutela e salvaguardia del territorio – e le ultime vicende delle alluvioni ne sono un chiaro esempio – nonché di valorizzazione delle qualità produttive che sono da traino per il made in Italy.  

Parlando di agricoltura ci si dimentica troppo spesso della sua funzione primaria: assicurare l’approvvigionamento alimentare. Quali sono le sfide che attendono il comparto per contenere i rischi legati, ad esempio, alla produzione di biocombustibili?  

Appunto perché  ci si dimentica spesso di questa funzione, è necessario iniziare a parlarne seriamente e costantemente. Riportare tutto alle funzioni originali significa fissare nuovamente quelle che sono le priorità dell’agricoltura, cioè garantire la sussistenza alimentare nei Paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. Se questa deve essere la funzione più importante che deve essere riscoperta e sostenuta con forza, non possiamo non sottacere il fatto che la necessità di trovare altre fonti di energia sta portando molte nazioni a investire in questo settore a discapito della produzione agricola. Riteniamo che per evitare questa deriva si debbano prendere decisioni a livello comunitario in grado di contemperare le due esigenze, ma avendo sempre un occhio di riguardo verso la tradizionale funzione dell’agricoltura.  

In che modo la produzione agricola può guardare al progresso scientifico e alla ricerca, come nel caso delle biotecnologie e degli ogm, come a una risorsa?  

La ricerca scientifica deve essere considerata come strumento per garantire la sicurezza del consumatore e per salvaguardare l’ambiente. In quest’ottica può essere considerata una risorsa da implementare sempre tenendo conto del fatto che non può e non deve intaccare il principio della tipicità, della biodiversità e dell’esaltazione delle peculiarità organolettiche di ogni singolo prodotto. Evitare l’omologazione produttiva, che può essere determinata dalla ricerca scientifica, rappresenta una scelta strategica se vogliamo puntare al rilancio delle nostre produzioni che si fondano proprio sulla loro unicità e sulla loro caratterizzazione.     

In questi mesi si sta discutendo il rinnovo della Pac, la Politica agricola comune. Quali sono gli indirizzi che dovrebbero essere incentivati per permettere lo sviluppo dell’agricoltura italiana?  

La nuova Pac dovrà  rappresentare una concreta opportunità di sviluppo per la nostra agricoltura. Per raggiungere questo obiettivo è necessario che tutte le forze politiche e di categoria ragionino in termini unitari e condivisi su come modificare e rendere più vicina alle esigenze primarie del nostro settore produttivo un’ipotesi di riforma che, come al solito, è immaginata e redatta a Bruxelles senza tener conto delle singole specificità e peculiarità territoriali. Pensare a una politica comune che annulli le singole diversità, soprattutto in agricoltura, laddove è più difficile omologare i differenti modelli produttivi se pensiamo ai Paesi mediterranei o a quelli continentali, è quanto di più sbagliato si possa immaginare. Pertanto deve essere una riforma per le imprese che esalti e non penalizzi le loro capacità e il loro talento. Andrebbero evitati, inoltre, sia i “tagli” orizzontali a tutte le risorse per i nostri agricoltori sia le penalizzazioni per le imprese più competitive. La riforma dovrebbe poi confermare il budget finanziario comunitario e nazionale, con una dotazione per il settore agricolo almeno pari alla dotazione attuale proprio per evitare che l’Italia, che è una delle principali finanziatrici, possa subire ulteriori penalizzazioni.
 

Da tempo ormai l’agricoltura è associata all’idea di assistenzialismo: tre idee chiave per riportare la spinta imprenditoriale al centro del programma agro-alimentare.

Far diventare il settore biologico non una nicchia di mercato ma un settore in crescita per rispondere a precise sollecitazioni di una parte dei consumatori. Lavorare per uno sviluppo complessivo dell’agricoltura tradizionale e di quella di tutela e salvaguardia dei territori. Favorire i giovani e il ricambio generazionale che garantisce prospettive, innovazione, nuove idee e salvaguardia della tipicità.   
 
 
Foto: Pixabay

  

Miriam Cesta