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Rino Cella: “Le piante prodotte con l’editing genomico non rappresentano un pericolo”

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Le piante ottenute attraverso l’impiego dell’editing genomico (o genetico) non dovrebbero rappresentare un pericolo per la salute dell’uomo e degli animali. Inoltre, questa procedura potrebbe favorire la biodiversità, perché potrebbe ridurre la necessità di convertire gli ambienti naturali in terre destinate alla coltivazione e, inoltre, perché la produzione di nuove varietà promuove la ricchezza del germoplasma delle specie coltivate. Lo spiega il dottor Rino Cella, Professore ordinario di Fisiologia vegetale presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie dell’Università degli studi di Pavia.

1) Professor Cella, a suo avviso quali potrebbero essere gli eventuali pericoli dell’editing genomico?
Il “genome editing” (GE, correzione del genoma) consiste nella modificazione pianificata del DNA nel preciso punto del genoma desiderato dal biotecnologo. I metodi GE attualmente più utilizzati sono: TALENs e CRISPR. Nel primo caso, la specificità di intervento è dovuta a una proteina che riconosce una sequenza specifica di DNA, mentre nel secondo è una molecola di RNA che funge da guida, appaiandosi in modo specifico al sito del DNA prescelto. In entrambi i casi il risultato è la inattivazione del gene di cui si desideri eliminare l’espressione. Confrontato ad altri sistemi di alterazione del genoma basati sull’uso di agenti mutageni chimici o fisici, i quali inducono mutazioni multiple e casuali in diversi punti del genoma, il GE permette di intervenire in modo preciso e controllato. Ad esempio, nel caso del frumento sono stati inattivati sei geni che controllano la sensibilità all’oidio, un fungo patogeno che causa gravi danni alla coltura. Va sottolineato che il Dipartimento del Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) non considera il GE effettuato utilizzando l’inattivazione genica un evento di transgenesi in quanto non vengono introdotti nel genoma della pianta di interesse geni appartenenti ad un’altra specie vegetale, microbica o animale. Data la precisione di questo tipo di GE, è ragionevole pensare che le piante ottenute con questa modalità di intervento non rappresentino un pericolo per la salute dell’uomo e degli animali.
Il GE può però anche essere usato per produrre piante transgeniche, con la differenza però che il gene esogeno viene inserito nel punto desiderato del genoma della specie ricevente, ed evitando quindi il pericolo di inattivazione di altri geni che potrebbero verificarsi in seguito ad un inserimento casuale. Va ricordato infatti che nel caso delle piante transgeniche ottenute con le tecniche classiche di trasformazione del genoma nucleare, l’inserimento casuale del transgene all’interno della sequenza di un gene della pianta ricevente potrebbe causare alterazioni impreviste e indesiderate nell’espressione del gene stesso. Per questa ragione le piante ottenute con questa modalità di trasformazione sono diverse l’una dall’altra e devono essere analizzate per escludere eventi indesiderati. Nel caso di utilizzo del GE, nonostante la precisione di intervento di questo metodo, le agenzie regolatorie non hanno ancora raggiunto un accordo normativo che ne permetta un largo utilizzo.

2) Ritiene che l’impiego di questa tecnica potrebbe avere degli impatti sulla biodiversità? E quali potrebbero essere?
Con il termine biodiversità si descrive l’insieme delle specie vegetali, microbiche e animali che vivono sulla terra o in un dato ambiente. L’agricoltura intensiva anche se giustificata dalla necessità di disporre di sufficienti aree dedicate alla produzione del cibo necessario per alimentare una popolazione mondiale in costante aumento, è la principale responsabile della diminuzione della biodiversità naturale. Nelle aree agricole le numerosissime specie naturali precedentemente residenti sono state sostituite da poche specie coltivate le quali, grazie alla selezione avvenuta nel corso dei secoli hanno prodotto molte varietà che rappresentano una ricchezza genetica importante. Questa ricchezza genetica è conservata in speciali siti dedicati e noti come banche del germoplasma. Per conservare la biodiversità naturale occorre evitare la distruzione di ambienti naturali per creare ulteriori aree coltivate. L’aumento della resa di una specie coltivata comunque ottenuta (mutagenesi con agenti chimici o fisici, trasformazione genetica, oppure GE), è da considerarsi positiva sia per la biodiversità perché diminuisce la necessità di aumentare l’estensione delle terre coltivate a scapito di ambienti naturali, sia perché producendo nuove varietà si favorisce la ricchezza del germoplasma di quella data specie coltivata.

3) Il consumo di alimenti prodotti attraverso l’editing genomico potrebbe avere effetti sulla salute umana?
Non credo che siano disponibili studi epidemiologici condotti su persone che si siano alimentate con cibi prodotti da piante modificate mediante GE. Si ha però notizia che un pasto a base di vegetali GE sia avvenuto (Press Release of Umeå University, http://www.teknat.umu.se/english/about-the-faculty/news/newsdetailpage/umea-researcher-served-a-world-first—-crispr-meal.cid272955). Dal momento in cui la ingegneria genetica è stata applicata alle piante ottenendo le famigerate piante GM si è discusso molto sui possibili pericoli derivanti dall’uso di cibi da esse ottenuti ipotizzando, da parte di alcuni, scenari catastrofici. Tuttavia, la letteratura scientifica riguardante gli effetti sulla salute umana dell’uso di cibi ottenuti da piante transgeniche (OGM) non ha messo in evidenza pericoli per la salute degli uomini e degli animali. Va ricordato che le filiere alimentari animali italiane da anni fanno anche uso di soia e mais GM importati dall’estero. Occorre inoltre ribadire che la possibile tossicità o allergenicità di un cibo non è legata alla procedura, molecolare o tradizionale (incroci, ibridazione, mutagenesi ecc.), mediante la quale è stata ottenuta la varietà, ma dipende dalla modificazione prodotta nella pianta.
E’ noto che per potersi difendere da predatori e microorganismi patogeni, le piante sintetizzano sostanze di difesa (perfettamente “naturali” quindi) che spesso hanno effetti tossici o antinutrizionali anche per l’uomo. Alcuni esempi riguardano i composti cianogenetici presenti nelle mandorle amare e nella cassava o gli inibitori delle proteasi presenti in varie leguminose, o la stessa fitina, presente nei semi di tutte le piante coltivate, che limita molto la biodisponibilità del fosforo e dei minerali presenti nelle farine. Uno degli obiettivi del miglioramento genetico è stato anche quello di ridurre il contenuto di questi fattori antinutrizionali. La riduzione delle difese naturali delle varietà coltivate ha però reso necessario l’uso di pesticidi e anticrittogamici di sintesi. A causa della loro origine artificiale, questi non sono ammessi in agricoltura biologica dove però si usano pesticidi naturali. Senza entrare nel merito di questa scelta, va ricordato che all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, un biochimico americano calcolò che oltre il 99% dei pesticidi introdotti con la dieta è di origine naturale. Non esistono quindi cibi che siano assolutamente privi di sostanze che in misura maggiore o minore possono essere dannose per l’uomo.

4) L’utilizzo di questa tecnica potrebbe determinare l’eventuale miglioramento della sostenibilità agricola e la riduzione dei costi di produzione?
Se per sostenibilità intendiamo la riduzione dell’impatto dell’agricoltura sull’ambiente, in linea con quanto precedentemente ricordato a proposito della biodiversità, ogni miglioramento genetico delle varietà coltivate, comunque ottenuto, può contribuire positivamente. Ad esempio, se il carattere migliorato conferisce alla pianta la capacità di resistere ad insetti predatori evitando la necessità di utilizzare pesticidi aspecifici che, una volta aspersi nell’ambiente che, oltre al predatore, colpiscono indiscriminatamente anche gli insetti utili, la risposta è sicuramente positiva. In questo caso, la sostenibilità ambientale favorisce anche la sostenibilità economica in quanto si eviterebbe sia il costo del pesticida sia quello della sua distribuzione in campo. La stessa cosa vale per il miglioramento di caratteri che conferiscano la capacità di crescere in terreni non ottimali per l’agricoltura (terreni salini o ricchi in metalli pesanti). Il conseguimento di un obiettivo di sostenibilità non dipende tanto dalla tecnologia di miglioramento genetico usata, quanto dalla velocità di ottenimento del risultato e dalla sua efficacia. Date le caratteristiche sopra descritte di precisione e sicurezza del miglioramento genetico realizzabile, è ragionevole pensare che il GE possa contribuire in modo positivo alla sostenibilità complessiva dell’agricoltura.

 

Foto: © Sergey Nivens – Fotolia.com

Nadia Comerci