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Latte, Pac e Ricerca «Adesso da Stato e Regioni misure più efficienti».

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Presidente Luca Sani (Presidente della Commissione Agricoltura della Camera iniziamo parlando di latte, ndr), al centro di un periodo difficile in cui la competitività dei trasformatori si scontra con i costi sostenuti dagli allevatori. Che scenario prevede per il prossimo futuro?

Il “pacchetto latte” approvato nell’ottobre 2012 è in corso di implementazione e gli Stati membri hanno introdotto i contratti obbligatori. La questione del conflitto tra produttori e trasformatori, d’altra parte, non è nuova. Onestamente ritengo che gli strumenti principali non possano che essere i contratti e i progetti di filiera, attraverso i quali ogni componente contratti un’equa remunerazione. Per il futuro la nuova Pac che consente di intervenire in modo più elastico e differenziato, prevede sia la possibilità  di organizzare strumenti di gestione dell’offerta, che misure specifiche di sostegno al comparto modulato attraverso i Psr.

 
 
In questo contesto si inserisce l’annosa questione delle quote latte. A meno di rinvii,  saranno cancellate a partire dal 31 marzo 2015. E dopo quella data, cosa accadrà? Cosa dovrà fare la filiera per affrontare la sfida del mercato?

 
Con la scomparsa delle quote latte c’è il rischio oggettivo di un boom della capacità produttiva a fronte di una parallela minor crescita o riduzione della domanda, e quindi di un calo dei prezzi. Con le immaginabili conseguenze sul mercato dei prodotti caseari e sulla capacità delle aziende di rimanere competitive tenendo sotto controllo i costi. C’è poi un altro rischio: che le realtà strutturate si espandano e invece scompaiano le piccole imprese, specialmente se localizzate in montagna o territori marginali. Al recente convegno tenutosi a Bruxelles, il commissario Ciolos ha ipotizzato la creazione di un Osservatorio europeo sul mercato del latte per avere un quadro almeno trimestrale della situazione e dell’evoluzione di mercato, così da poter intervenire prima che i problemi deflagrino. Naturalmente con gli strumenti a disposizione e con i limiti ad essi connessi.

 
 
Parliamo della Pac che è arrivata alla quadratura del cerchio. Ci sono ancora punti deboli secondo lei?

Con la chiusura del negoziato di martedì 24 settembre, il Consiglio dei ministri dell’Agricoltura ha risolto le ultime controversie relative alla degressività e al cosiddetto pagamento redistributivo per i primi ettari, che non potrà essere inferiore al 5 per cento del budget complessivo, oltre che alla possibilità di trasferimento dei fondi tra i due pilastri. Ora lo sforzo decisivo a Bruxelles e Strasburgo è quello di approvare i Regolamenti attuativi della Pac, mentre sul piano nazionale dobbiamo cominciare a pensare ai Psr. La Comagri che presiedo, nel frattempo, ha individuato le priorità da inserire nell’Accordo di partenariato tra Italia e Bruxelles.

 
 
A fare da contorno a questi temi c’è la perdurante crisi economica. La filiera agroalimentare da sempre ritenuta anticiclica e quindi capace di resistere agli shock economici subisce il rallentamento dei consumi. Cosa andrebbe fatto per contrastarne il calo?
Dobbiamo distinguere tra mercato interno ed export. Per il primo c’è poco da fare: o si detassa il lavoro o i consumi non risaliranno. Questo si può ottenere da una parte diminuendo la pressione fiscale su redditi da lavoro e pensioni medio basse, dall’altro utilizzando la riduzione selettiva del cuneo fiscale per le aziende che creano nuovi posti di lavoro investendo in innovazione. L’export, invece, come hanno testimoniato anche gli ultimi dati (+7%) va benissimo, e qui il problema è inverso: non esportiamo quanto potremmo per difficoltà logistico-organizzative e poca incisività dell’assistenza all’estero delle nostre aziende.

 
 
L’Italia, dicevamo, si trova al centro di un’economia globalizzata, anche dal punto di vista delle materie prime. Molti settori, come quello mangimistico, soffrono la dipendenza dall’estero di materie prime che in questi ultimi anni hanno raggiunto prezzi altissimi. Accanto a questo ci sono i costi del trasporto e dell’energia, sempre maggiori. Come si sostengono impresa e lavoro?
Ancora una volta valorizzando gli accordi di filiera. Non c’è alternativa, Altrimenti continueremo a soffrire per condizionamenti esogeni. In questo senso, per fare un esempio, i “progetti integrati di filiera” promossi dalla Regione Toscana con i fondi del Psr, sono un esempio di quel che si può fare.
 

 
Il lavoro appunto. L’Italia sta perdendo molte opportunità per i giovani sul fronte della ricerca e delle biotecnologie. Accanto a questo c’è anche il tema degli organismi geneticamente modificati. È giusto frenare del tutto questo capitale in ambito agricolo e zootecnico?
L’orientamento politico culturale contrario all’utilizzo degli Ogm è largamente maggioritario. Tuttavia questo non impedisce alla ricerca di svolgere il proprio ruolo. Nel momento in cui saranno raggiunte nuove certezze scientifiche sulla atossicità delle colture Ogm, si potrà valutare la loro introduzione. Non è una questione ideologica. Penso anche che bisognerebbe valorizzare meglio le competenze degli Istituti agrari tecnici e professionali, che sono in grado d’innalzare la qualità degli interventi in modo diffuso. Poi bisogna puntare sugli Istituti di formazione tecnica superiore (Ifts), che costituiscono l’anello di congiunzione fra scuola superiore e università. È chiaro che ci vogliono risorse, ma mi pare che il Governo sul tema dell’istruzione stia cambiando approccio rispetto agli ultimi anni tornando ad investire. Infine, penso vadano detassate le aziende che finanziano progetti di ricerca in partnership con l’Università.


 

Sicurezza alimentare. L’Italia subisce spesso gli scandali che emergono in altri Paesi ed è sempre sotto attacco dei “taroccatori”  del Made in Italy. Quali azioni mettere in campo?
In questo caso c’è un’unica strada: quella degli accordi internazionali fra Stati o aree del commercio mondiale. I poteri di controllo e lotta alla contraffazione sono infatti in capo agli Stati, senza la cui collaborazione si può fare poco. Ci sono poi l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e i diritti sui marchi registrati, ma anche in questo caso tutto dipende dalle volontà politiche di garantire l rispetto delle regole.

 

Cosimo Colasanto